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Wearable Technology, cosa succede in Italia

Avanza la tecnologia indossabile made in Italy, ma l’Osservatorio Wearable avverte: servono investimenti , e spesso le startup non possono permetterseli.

I dati parlano chiaro. Nel 2014 sono stati circa 19 milioni i dispositivi di wearable technology venduti nel mondo. Oltre 600 mila solo in Italia. Un numero destinato ad aumentare, almeno secondo l’indagine di mercato condotta da IDC (International Data Corporation), che ha previsto 112 milioni di pezzi acquistati nel 2018, anche se sono molti di più quanti vorrebbero farlo, tre dei quali nel nostro Paese. Ed è proprio per ragionare e mappare le evoluzioni di questo mondo che Fabio e Mirko Lalli, insieme al team di Iquii, hanno fondato a febbraio 2014 il primo Osservatorio di Wearable Technology in Italia.

L’interesse intorno a questo mondo è forte da anni, anche da parte di aziende italiane che si sono lanciate nella produzione di tecnologia indossabile: “Quello che ancora mancava era un progetto organico in grado di sistematizzare le conoscenze e le numerose segnalazioni che ci arrivavano dalla rete e dagli stessi utenti”, spiega Fabio Lalli.

Un settore difficile da inquadrare a causa dell’oscillazione continua e la variazione costante di progetti.

Secondo i dati dell’Osservatorio, i settori in cui siamo più forti in Italia sono quello medicale, con il 47% di aziende italiane già coinvolte in questo business. Seguono il wellness e fitness (35%), medaglia di bronzo pari merito a gaming, sicurezza e domotica,nei quali ha deciso di investire rispettivamente il sei per cento delle imprese italiane.

Un mercato in crescita che secondo l’Osservatorio ha tre grandi scogli da superare: il prezzo, ancora troppo elevato, l’usabilità e l’effettivo aiuto che viene dato agli utilizzatori finali. “Perché se a livello di design il miglioramento c’è stato ed è sotto gli occhi di tutti, il problema dell’offrire qualcosa di concreto ad una platea sempre più ampia di persone è ancora evidente. Le nicchie sono ben coperte: si pensi all’ambito sportivo, militare e medicale. Ma per avere un effetto mainstream bisogna estendere le funzionalità, cercando quelle che abbiano un alto impatto nella vita di tutti i giorni e che siano semplici da utilizzare”.

In Italia poi pesano difficoltà all’ingresso che spesso impediscono a una startup appena costituita di buttarsi. “Servono importanti investimenti in tecnologie hardware e l’acquisizione di competenze trasversali rispetto al tradizionale core-business tecnologico. E spesso le giovani imprese non possono permetterseli”, continua Lalli. Il fatto che il 48% delle aziende che fanno wearable siano delle S.r.l. lo conferma.

Eppure il kow how e l’inventiva non mancano: “Nel nostro Paese i progetti attivi o in fase di sviluppo non hanno nulla da invidiare a quelli più blasonati”.

Tra i progetti più interessanti l’Osservatorio ne segnala due:ComfTech, che fa abbigliamento hi tech per monitorare i parametri vitali dei neonati e Sensoria, progetto dal cuore italiano, con i suoi Fitness Socks, Fitness Bra e Fitness T-Shirt.

Articolo tratto dal sito http://www.wired.it/

Riguardo Daniele Bertaggia

La mia missione è quella di diventare un punto di riferimento per le persone che intendono mettersi in forma nel rispetto della salute: per coloro che desiderano semplicemente perdere peso, per gli sportivi che vogliano migliorare le performance nello sport che praticano, per tutte le persone che vogliono migliorare le proprie condizioni psico-fisiche in modo assolutamente naturale.

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